Cosa ci hanno lasciato i Romani!

Gli antichi padri latini che popolavano il vasto territorio laziale, oggi punteggiato dalle varie località  delle Colline Romane, ci hanno tramandato, assieme alla loro primitiva civiltà , alcune delle più gustose e sfiziose ricette gastronomiche di cui si possa vantare l’intero suolo italico.
– I Romani ci hanno tramandato moltissime conoscenze riguardanti le api.
– Dai Romani abbiamo, copiato gli alveari di loro invenzione, che poco si discostano, a parte i  materiali impiegati, da quelli che usiamo attualmente.
– Apicio  con le sue ricette l’uso delle erbe tra cui l’erba cipollina.
– L’uso del vino in cucina.
– La lingua latina

Certamente si è venuti a conoscenza di pratiche ancor oggi in uso: sott’aceto, in salamoia, erbe essiccate, sotto sale.
Una curiosità , invece è quella della tipica usanza di mettere sottoterra carote, rape, navoni e ramolacci.
I poveri interravano infatti ciò che andava conservato unendolo a paglia e sabbia.
La pasticceria era parecchio importante per i golosi Romani. Il piacere del dolce era apprezzato assai, infatti si conoscono varie preparazioni.
Il più semplice era il libum, un pane dolcissimo edulcorato con miele, ma occorre nominare il globus che era come le nostre bombe fritte, poi c’era il luncunculus, ovvero una sorta di bigné.
Non mancavano ottimi piatti di dolci fatti con formaggio e miele, che erano numerosi: si va delle crocchette a formaggio e miele alle paste di formaggio amalgamate con frutti.
Datteri farciti e noci erano usati per la preparazione dolci, vere specialità  della Roma antica.
A fine pasto era il bosco a fornire ai romani mandorle, nocciole e noci, che oltre a essere squisite erano anche utili ai duri lavori, in quanto assai caloriche ed energetiche.
Molto richiesti erano pure i pinoli, peraltro usati, non solo come dessert, ma anche per la preparazioni di particolari piatti come certi arrosti.
Altro frutto del bosco tenuto di gran conto era la castagna, lessata, arrosto o essiccata, ma altresì cucinata con finocchio oppure in purea o zuppa.
Dalla quercia si coglieva la ghianda, usata per vari scopi, anche per farinate.
La carne più utilizzata nella cucina dagli antichi romani era quella di suino.
Le parti più apprezzate del maiale erano le mammelle e la vulva della scrofa perché considerati utili contro il malocchio. La carne migliore era, però, considerata quella di capretto e d’agnello, mentre la carne meno pregiata era quella di montone e capra.
Molto apprezzata era la carne dei volatili, sia quelli allevati nei cortili e nelle voliere sia la selvaggina cacciata.
Oltre a tordi e piccioni, i romani amavano cucinare animali importati da diverse regioni dell’impero, come fenicotteri, cicogne e grù; i più ricercati erano i piatti a base di fagiano e pavone. I più ricchi amavano gustare piatti a base di ghiro, e fenicottero di cui era molto ricercata la lingua.
All’allevamento di ghiri (gliraria) erano dedicate delle cure molto scrupolose.
Per quanto riguarda la carne di pollo, non era molto apprezzata e veniva consumata principalmente dai poveri.
Nell’antica Roma si mangiava anche l’asino selvatico (onager) e la selvaggina come il cinghiale, la lepre, l’oca, l’anatra, il cervo, il capriolo e il daino.
Altro alimento fondamentale nella dieta degli antichi romani era il pesce. Inizialmente veniva consumato soltanto nei periodi di carestia ma presto venne considerato un piatto prelibato e un alimento essenziale.
Tra le specie più conosciute c’erano l’orata, il luccio, la sogliola e la triglia.
Di solito il pesce veniva accompagnato da verdure bollite e anche da fegato e da carni varie.
Nella cucina dell’antica Roma, erano molto apprezzati anche i pesci allevati nelle piscine: scampi, seppie, polpi, astici, aragoste e molluschi vari che venivano insaporiti con ogni sorta di salse e accompagnati con uova di anitra, pernice e piccione.
Tra i molluschi il più richiesto era l’ostrica e molti personaggi benestanti possedevano addirittura degli allevamenti per coltivare personalmente le ostriche.
Gli antichi Romani non avevano lo zucchero di canna e usavano il corroborante miele, si gradiva tuttavia sostituirlo anche con un prezioso dolcificante, oggi particolarmente utilizzato con gli yogurt.
Lo si otteneva dall’uva, si trattava di un concentrato succoso e dolcissimo e che era preferito perché il miele era assai caro e mancava spesso nelle cucine della plebe
Si dice che l’impero romano sia stato fatto più con il farro che con il ferro.
Infatti  la spada, ma anche la ricchezza di questa graminacea, furono entrambi tanto importanti per il popolo.
Non v’era giorno che nel piatto mancasse tale pianta erbacea, o comunque, il farro o la farina di farro, costituivano componente essenziale della dieta d’ogni giorno.
Può apparire troppo scientifico, ma riguardo a studi sulle proteine e sull’apporto calorico, si può dare una spiegazione di come la gente dell’Urbe assumesse una tipologia di alimenti tali, da poter essere superiori a chi si cibava con il ben più misero orzo.
Il farro seguiva i romani anche durante il giorno, essi infatti ne masticavano i chicchi secchi, tenendoli nello zaino.
Col farro si preparavano primi, secondi, zuppe, creme e polente
Mentre per i patrizi il condimento offerto dall’olio d’oliva era quello solito, per i plebei si usava il lardo.
Così troviamo il lardo anche per la preparazione di dolci e pasticceria, anche se va detto che nonostante quanto si possa pensare, i condimenti grassi erano pochissimi nella cucina dell’antica Roma.
Il lardo era usato anche nella preparazione di salsicce e salami, unito a carne magra di maiale, oppure per le fave cotte.
Il sale veniva usato assai dagli antichi Romani, sia per conservare il cibo, sia per condire le tantissime verdure presenti nella loro dieta.
Il sale veniva estratto dalle saline alle foci del Tevere ed era tanto importante che era uno dei doni più tipici che l’imperatore faceva alla plebe.

I più miseri, tuttavia, per risparmiare sul sale usavano anche bollire gli ortaggi in acqua di mare, rendendo così saporito il pasto senza bisogno di condimento.
Anche il pane era vario nell’antica Roma e non mancava mai sulla tavola dei romani. L’uso, però, sembra divenuto generale soltanto al principio del secondo secolo a.C.
Il primo pane veniva preparato con il farro, che a quei tempi era il cereale più coltivato. Con il grano, inizialmente, veniva fatta una pappa di frumento (la puls) che si distingueva dalla polenta dei Greci fatta, invece, con orzo abbrustolito e macinato.
Prima il pane veniva preparato nelle case mentre in seguito gli artigiani e i cuochi aprirono delle panetterie attrezzate con forni e mulini.
Il pane si divideva essenzialmente in tre qualità  principali: il pan nero di farina stacciata rada che veniva consumato principalmente dai poveri, il pane bianco (panis secondarius) che era migliore del precedente più bianco ma non finissimo e il pane bianco di lusso (panis candidus, mundus) fatto con farina finissima che veniva consumato principalmente dai ricchi.
Si ricorda anche il pan da cani (panis furfureus) fatto con la crusca.
Il pane veniva cotto in forno o in recipienti speciali (panis clibanicus).